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Per il primo trimestre dell’anno in corso si stima una riduzione dei consumi del 10,4% rispetto allo stesso periodo del 2019. Il mese di marzo è completamente responsabile della suddetta caduta. Siamo in presenza di dinamiche inedite sotto il profilo statistico-contabile, che esibiscono tassi di variazione negativi in doppia cifra non presenti nella memoria storica di qualunque analista. Purtroppo sono profili declinanti molto prossimi alla realtà: i dati “veri” sull’accoglienza turistica, sulle immatricolazioni di auto, sulle vendite di abbigliamento e calzature, per i bar e la ristorazione, appaiono di sconcertante evidenza. Giusto per fare alcuni esempi.

Con qualche ritardo rispetto al depotenziamento repentino della domanda, la produzione si è adeguata. Fiducia e indici di attività produttiva sono crollati in marzo, sommandosi alla scomparsa della domanda per consumi.

Di conseguenza, le nostre stime indicano una riduzione tendenziale del PIL del 3,5% nel primo quarto del 2020 e del 13% nel mese di aprile.

I provvedimenti delle autorità nazionali e internazionali non possono modificare il profilo delle perdite di prodotto. Possono, però, mitigare notevolmente le perdite di reddito disponibile connesse alla riduzione dell’attività, trasformandole in larga misura in deficit pubblico e quindi debito sovrano. La strada prevalente in Italia è la riduzione degli impatti della crisi attraverso la concessione di abbondante liquidità a costi molto esigui. Sarebbe opportuno affiancare a questi provvedimenti una serie di indennizzi proporzionali alle perdite subite dagli imprenditori e dai lavoratori. Senza lo strumento dei “trasferimenti a fondo perduto” si corre il rischio che l’eccezionale liquidità non sarà realmente domandata, almeno dai soggetti più deboli, lasciando ferite permanenti nel tessuto produttivo e rendendo meno vivace la ripartenza.

Il tema della ripresa quando l’Italia riaprirà è denso di incognite. Infatti, al termine dello scorso anno, non erano stati ancora recuperati i livelli di reddito disponibile e consumi – in termini reali – sperimentati nel 2007: le perdite ammontavano ancora rispettivamente a 1.700 e 800 euro per abitante. Insomma, detto senza giri di parole, oggi è necessario evitare che, dopo il coronavirus, la ricostruzione dei livelli di benessere economico, già depressi, del 2019, duri troppi anni. Il rischio è la marginalizzazione strutturale del Paese rispetto alle dinamiche internazionali dell’integrazione, dell’innovazione tecnologica, della sostenibilità e, in definitiva, della crescita di lungo termine. A pagarne il prezzo più alto sarebbero le generazioni più giovani.

Il quadro congiunturale, che ha iniziato a risentire già dalla fine di febbraio degli effetti della crisi innescata dal COVID-19, presenta andamenti articolati dei principali indicatori, legati anche al periodo di rilevazione. A febbraio la produzione industriale ha evidenziato un calo congiunturale dell’1,2%, al netto dei fattori stagionali, e una flessione del 2,4% su base annua. L’occupazione, nello stesso mese, registra una stabilità sia in termini congiunturali che tendenziali.

La fiducia dei consumatori nel mese di marzo, sicuramente influenzata dall’accentuarsi della pandemia e delle misure di lockdown, è risultata in forte calo così come quella delle imprese. La contrazione per il sentiment delle famiglie è stata dell’8,9% congiunturale, mentre per le imprese si è registrato un calo del 16,5%. Su base annua il tendenziale del clima delle famiglie ha registrato una diminuzione del 9,7% mentre per le imprese il calo è stato del 20,1%.

Considerando il deciso peggioramento delle condizioni economiche ad aprile, e il persistere delle misure di contenimento da COVID-19, si stima per il mese in corso una flessione congiunturale del Pil, al netto dei fattori stagionali, del -6,1% dato che porterebbe ad una decrescita del 13% rispetto allo stesso mese del 2019. Nel complesso del primo trimestre il Pil è stimato ridursi del 3,4% rispetto all’ultimo quarto e del 3,5% nel confronto sul trimestre corrispondente del 2019.

Il crollo dei consumi del 31,7% è sintesi di un rallentamento nei primi 10 giorni del mese, quando non era ancora in atto la chiusura di gran parte delle attività, e di un sostanziale blocco della domanda, ad eccezione di alcune voci, nei giorni successivi. Il dato di marzo determina una riduzione nella media del primo trimestre del 10,4% nel confronto annuo. I più penalizzati sono risultati i servizi ed in particolare quelli relativi al tempo libero.

Analizzando più nel dettaglio l’andamento delle diverse funzioni di spesa nel confronto tra marzo 2020 e lo stesso mese del 2019 si rilevano andamenti articolati, collegati sia alla possibilità di svolgere l’attività, sia alle esigenze specifiche delle famiglie in questo periodo. In quest’ottica i risultati migliori si registrano per il comparto alimentare, legato anche all’esigenza delle famiglie di sostituire le consumazioni fuori casa, per i prodotti farmaceutici e terapeutici e per i servizi di comunicazione il cui maggior utilizzo deriva sia dalle esigenze di chi lavora da casa, sia per mantenere aspetti di socialità.

Per quanto riguarda le altre voci di spesa si rilevano riduzioni che sfiorano in molti casi l’azzeramento della domanda, situazione evitata solo per le vendite effettuate nei primi giorni del mese. Non sono state sufficienti le poche possibilità di vendita on line o di consegna a casa per mitigare gli effetti del lockdown.

Sulla base delle dinamiche registrate dalle diverse variabili che concorrono alla formazione dei prezzi al consumo, per il mese di aprile 2020 si stima una riduzione dello 0,6% in termini congiunturali e dello 0,7% nel confronto con lo stesso mese del 2019. La caduta dei prezzi riflette la riduzione registrata dagli energetici regolamentati e non, che cominciano a risentire della caduta del prezzo del petrolio, le cui quotazioni nominali in dollari sono tornate ai valori dei primi mesi del 2004.

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