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L’accesso all’informazione può avere dinamiche differenti: può avvenire in uno specifico  momento della giornata, in modo consequenziale rispetto a un singolo contenuto, in relazione alla rete di conoscenze, a partire da un’esigenza o in modo protettivo-immersivo rispetto all’ambiente circostante. Questo è quanto è emerso dal team di ricerca di ALMED dell’Università Cattolica del Sacro Cuore che ha visto coinvolti 200 studenti di età compresa tra i 19 e i 24 anni del corso di Metodi e Strumenti della Media Research della laurea in Linguaggi dei media. La ricerca inserita all’interno di Opinion Leader 4 Future, programma triennale nato dalla collaborazione tra ALMED e Gruppo Credem, tra i principali e i più solidi istituti bancari d’Italia, è finalizzata ad esplorare il rapporto tra i giovani e i dispositivi mobili. 

Nello specifico, l’analisi evidenzia che la ricerca di informazioni può verificarsi in modo temporalizzato, ossia in particolari momenti della giornata o interstiziale, tra un impegno e l’altro; in modo consequenziale a partire da una singola notizia che riporta ad altre da esplorare; o relazionale in quanto può avvenire anche attraverso segnalazioni che partono dalla propria rete di conoscenze. Inoltre, la ricerca di informazioni può essere verticale partendo da un interesse o bisogno specifico e anche di natura protettiva-immersiva come pretesto per estraniarsi dal contesto circostante. Interessante è anche la modalità di fruizione delle informazioni e la tipologia di linguaggio più gradita dagli intervistati in riferimento alle piattaforme digitali: infografica, video e contenuti testuali.  

Inoltre, dallo studio, che ha anche visto gli studenti privarsi del contatto con lo smartphone per 24 ore, emerge una dipendenza da dispositivi mobili, legata soprattutto alla continua esigenza di ricercare informazioni e dati, utilizzati dai giovani per essere in collegamento con il mondo e avere una bussola che li orienti nel quotidiano.

Tale dipendenza è stata classificata come gestuale nell’atto istintivo e involontario di controllare ripetutamente lo schermo, sensoriale nella sensazione di essere in una bolla e protetti dal mondo esterno, monitorante nell’osservare cosa accade, rimanere sempre connessi e documentare ogni momento della propria vita.

“L’esperimento della “disimmersione”, ovvero scollegarsi dai dispositivi digitali e dalla rete, ha consentito ai nostri studenti di raggiungere un livello di consapevolezza e autoanalisi molto più alto rispetto ai modi e al senso delle loro pratiche quotidiane”, ha dichiarato Chiara Giaccardi (nella foto), professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. “Emerge un’ambivalenza: da un lato il bisogno di essere connessi e non sentirsi tagliati fuori, dall’altro il desiderio di una protezione, una barriera, verso un mondo sentito forse come troppo complesso e sfidante. La scommessa formativa riguarda proprio il lavorare sul livello della consapevolezza per favorire, piuttosto che un ritiro dal mondo di cui si ascoltano gli echi filtrati dai dispositivi, un desiderio di coinvolgimento attivo e contributivo anche attraverso le possibilità offerte dal digitale”.

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