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L’Area Studi di Mediobanca presenta l’aggiornamento annuale sui dati di bilancio aggregati delle principali imprese industriali e di servizi italiane. I dati si riferiscono al decennio 2009-2018. L’analisi si basa su insiemi chiusi che censiscono imprese in continuità d’esercizio durante il decennio.In particolare, sono esaminate le 2.095 società italiane che rappresentano il 49% del fatturato industriale e il 51% di quello manifatturiero, il 37% di quello dei trasporti e il 43% della distribuzione al dettaglio. Le imprese a controllo estero comprese nell’indagine rappresentano il 60% di quelle con più di 250 addetti operanti in Italia e il 90% delle sole manifatturiere. Sono incluse tutte le aziende italiane con più di 500 dipendenti e circa il 20% di quelle di medie dimensioni manifatturiere. In base all’assetto proprietario di fine 2018, il fatturato delle 2.095 società si ripartisce come segue: il 20% è relativo a 142 imprese controllate dalle Amministrazioni Pubbliche italiane, il 47% riguarda 1.375 imprese controllate da privati di nazionalità italiana e il 33% si riferisce a 578 società che fanno capo a soggetti di nazionalità estera.
Nel 2018 le 2.095 principali imprese industriali e di servizi italiane hanno aumentato il fatturato del 3%, quasi metà della crescita del 2017. Nel 2018 l’export è cresciuto in misura molto inferiore rispetto al 2017, tanto che le vendite domestiche, anch’esse in frenata, hanno performato meglio, fatto mai accaduto nel decennio. Il minore dinamismo delle vendite totali nel 2018 ha toccato molti settori: quelli in rallentamento sono stati 21 su 31, erano 9 su 31 nel 2017. Nel 2018 le imprese pubbliche sono cresciute più della media, non lontane dalla performance del 2017, ma avevano perso fatturato ininterrottamente dal 2013 al 2016. Meno vivaci le imprese private e con esse quelle manifatturiere che, tuttavia, hanno archiviato il quinto anno di crescita. Più positivo il 2018 delle medie imprese manifatturiere, mai in flessione dal 2010, e di quelle medio-grandi. Unica, ma grave, flessione quella dei maggiori gruppi manifatturieri: il -2,4% nel 2018 interrompe un quinquennio di incrementi continui. I settori top seller nel 2018 e quelli al palo: bene il petrolifero e la metallurgia; sostenuti incrementi della pelletteria, delle bevande, del tessile, del chimico e della gomma e cavi, cui seguono il conserviero e l’elettronico e il cartario assieme al mobilio. Da segnalare l’apprezzabile 2018 chiuso dalle imprese di costruzione in bonis. Tra le flessioni del 2018 si segnalano quelle del pharma, dell’automotive, degli elettrodomestici, delle telecomunicazioni e dell’impiantistico.
La ‘crescita decelerante’ del fatturato nel 2018 porta in dote la stagnazione del valore aggiunto: i maggiori ricavi non hanno generato nuova ricchezza. Fatta eccezione per le imprese pubbliche e l’industria, nessun altro aggregato sfugge a questo dato: imprese private, manifattura e servizi. La performance deludente della manifattura dipende integralmente dalle sue imprese maggiori, poiché il IV capitalismo ha aumentato il valore aggiunto nel 2018 e ancor meglio hanno fatto le medie imprese. A far data dal 2009, il valore aggiunto delle imprese italiane è cresciuto, ma tale risultato va attribuito alla manifattura, poiché i servizi sono arretrati, così come, e ancor più, le imprese pubbliche. La più regolare e sostanziosa crescita del valore aggiunto dal 2009 è appannaggio delle medie imprese, cui seguono quelle medio-grandi. Senza l’apporto della manifattura, dal 2009 le imprese italiane avrebbero contratto dell’8% il proprio valore aggiunto.
La stasi del valore aggiunto delle 2.095 imprese non ha impedito ai bilanci del 2018 di chiudere con utili in crescita del 10,6% sul 2017, con un roe che passa dal 7,5% all’8,1%. L’effetto è in buona misura dipeso dalla ricca campagna dividendi incassati, in crescita nel 2018 del 30%, grazie soprattutto alle imprese estere da cui è arrivato circa il 75% del monte dividendi. Un’altra mano agli utili è venuta dal tax rate che nel 2018 è stato pari al 19,7%, in calo del 7% dal 21,2% del 2017 e del 28% dal 27,5% del 2013.
Assieme al valore aggiunto, anche gli investimenti sono rimasti congelati nel 2018. Rispetto al loro livello del 2009, essi sono calati in media del 4,7%. Le imprese pubbliche li hanno abbattuti del 10,8% dal 2009, e a poco è valsa la ripresa del 5,5% del 2018. Meglio ha fatto la manifattura che dal 2009 li ha mediamente aumentati del 5,8%, salvo bloccarli anch’essa nel 2018. Anche qui le medie imprese giocano una partita a parte: +10,8% in media dal 2009 e +6% nel solo 2018. A ben vedere le risorse non mancherebbero: le disponibilità liquide in pancia alle 2.095 imprese sono aumentate dell’81,7% dal 2009 e ammonta nel 2018 a 77,2 miliardi di euro, a fronte di investimenti a valori correnti stabili nel decennio e pari nel 2018 a 29,7 miliardi di euro.
La produttività nominale delle 2.095 imprese è cresciuta di un timido 0,8% medio annuo dal 2010. La manifattura ha guadagnato il 2,6% medio annuo, grazie al +2,9% delle medie imprese e al +3,2% delle medio-grandi. Male il terziario e le imprese pubbliche, che per di più hanno tagliato molta occupazione.

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