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Dall’urbanistica alle previsioni meteorologiche, dal settore diagnostico a quello dei farmaci. Per sviluppare soluzioni innovative, precise ed efficaci, in questi e in altri campi, è sempre più forte la spinta verso metodi di calcolo non convenzionali.
Molte problematiche riguardanti sistemi complessi, con milioni di elementi che interagiscono secondo dinamiche nonlineari, sono alla base di innumerevoli processi naturali che i supercomputer costruiti dall’uomo non sono in grado di risolvere in modo efficiente.
Il cervello umano può riconoscere un volto in pochi millisecondi, mentre a un computer possono volerci minuti. La differenza abissale sta nel modo in cui l’informazione viene rappresentata ed elaborata. I computer quantistici permettono di attuare una rivoluzione simile: rovesciano i paradigmi del calcolo “classico” e riescono, tramite l’uso della meccanica quantistica, a risolvere problemi considerati a oggi intrattabili.
È in questo scenario che sbarca un dispositivo in grado di generare nuova potenza per i computer quantistici. Il chip, che è una sorgente di qbit fotonici realizzata su di un circuito integrato in silicio, è stato messo a punto nell’ambito di una collaborazione tra le Università di Trento e Bristol. Il risultato è al centro di un articolo pubblicato oggi sulla rivista “Nature Communications”.
«Abbiamo dimostrato che il nostro dispositivo innovativo genera fotoni super puri» spiegano dall’Università di Trento Massimo Borghi, Stefano Signorini e Lorenzo Pavesi, autori dell’articolo assieme ai colleghi del team di Bristol.
L’argomento del lavoro riguarda le sorgenti di singoli fotoni per i computer quantistici, un tema di grande interesse sia per la ricerca scientifica fondamentale sia per le potenziali applicazioni tecnologiche.
«Oltre a scrivere questo lavoro, a protezione del dispositivo innovativo abbiamo anche depositato un brevetto congiunto Università di Trento e di Bristol» ricorda Lorenzo Pavesi, responsabile del laboratorio di Nanoscienze al Dipartimento di Fisica dell’Ateneo di Trento.
Dietro al successo c’è una storia di mobilità internazionale di cervelli. Infatti, gli autori più giovani, Massimo Borghi e Stefano Signorini, attualmente assegnisti di ricerca al Dipartimento di Fisica di UniTrento, hanno passato dei periodi di tempo all’Università di Bristol rispettivamente durante il post-dottorato e il dottorato.
«Abbiamo unito le competenze di ottica nonlineare e fotonica integrata di Trento a quelle nell’ottica quantistica di Bristol» racconta il professor Pavesi. «Quando ero dottorando a Trento – dice Stefano Signorini – ho studiato un nuovo processo fisico per generare coppie di fotoni correlati in un circuito integrato» «Durante il post-doc a Bristol – aggiunge Massimo Borghi – ho avuto l’idea di applicare questo processo per la generazione di fotoni ultrapuri. Ho discusso l’idea con Stefano e così è nato questo progetto».
Ma cosa sono e perché sono importanti i fotoni dall’estrema purezza?
«Sono piccoli mattoncini, ma di elevatissima qualità. Più la casa che vogliamo costruire sarà grande, più questa avrà bisogno di tasselli perfetti per non crollare. Le simulazioni ci dicono che con circa 150 fotoni ultra puri e indistinguibili, potremo sfruttare appieno la capacità computazionale dei computer quantistici oltrepassando di diversi ordini di grandezza quelle di un computer classico, entrando così nel famoso regime di supremazia quantistica» spiega Massimo Borghi.
«Non solo la purezza è importante. Per generare tutti questi fotoni serve un gran numero di sorgenti identiche che lavorino all’unisono. Le nostre sorgenti sono l’ideale, ne possiamo costruire a centinaia sullo stesso dispositivo integrato miniaturizzato. I mattoncini possono anche essere perfetti, ma allo stesso tempo dobbiamo averne grande disponibilità, in poco spazio, e tutti uguali» aggiunge Stefano Signorini.
Per far capire le potenzialità di business, le riviste di settore citano il caso di PsiQuantum, start-up creata in California, a Palo Alto, per costruire computer quantistici basati sulla fotonica in silicio, partendo proprio da una tecnologia sviluppata all’Università di Bristol. L’azienda, in pochi mesi, è riuscita a raccogliere finanziamenti per oltre duecento milioni di dollari, segno dell’interesse degli investitori per il calcolo quantistico.
«Vogliamo ringraziare i nostri colleghi dell’Università di Bristol. Il loro contributo è stato fondamentale per la riuscita del lavoro. Ci auguriamo che questo sia solo l’inizio di una lunga collaborazione» concludono gli autori dell’Ateneo di Trento.
L’articolo, dal titolo “Near-ideal spontaneous photon sources in silicon quantum photonics” è stato scritto da Massimo Borghi, Stefano Signorini e Lorenzo Pavesi dell’Università di Trento con Stefano Paesani, Alexandre Mainos e Anthony Laing dell’Università di Bristol. È stato pubblicato su “Nature Communications”.

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